Maggio mese mariano, mese di rosari, alberi in fiore, scudetti all’ultima giornata. Maggio mese senza nebbia, quindi giusto tuffarsi nei fumoir più esclusivi di Milano per esplorare le infinite possibilità di vizio figlie dell’unione feconda di distillati e fumo lento. D’altronde, noi monogami convinti abbiamo rinunciato alle tentazioni di Venere da molto tempo. Doveroso quindi concentrarci su Bacco e tabacco. A meno che non vogliate spingerci ad usare il Fentanyl…
Ad ogni modo, per uno di quei giri del destino curiosi, quelli per cui ti invitano a cena appena inizi la dieta o le tipe ci stanno appena ti fidanzi, siamo stati invitati a due serate consecutive in cui il mondo degli spiriti si incrociava con quello dei sigari. Ora, noi socraticamente sappiamo di non sapere nulla, ma almeno di spiriti siamo appassionati. Per quanto riguarda i sigari invece ci limitiamo alla fascinazione, ma siamo immersi in un totale magma di ignoranza. E dunque siamo andati volentierissimo a cercare di colmare qualche lacuna.



La prima puntata ci ha portato in Sudamerica, con vista Darsena. La serata si è tenuta nel fumoir del Doping Bar, forse il locale più eclettico e a nostro insindacabile avviso anche il più spettacolare di Milano: per chi ama i dettagli di arredamento, questo è un paradiso di metallo, design, pelle e suggestioni. Seduti tra poltrone di cuoio e sedie da barbiere, abbiamo degustato tre rum accompagnati da un sigaro. Da una parte Hernan Parra, maestro ronero del rum colombiano Dictador; dall’altra parte Pierluigi Serravezza, ambassador della famiglia Vandermaliere, proprietaria del marchio Oliva.
Chi scrive è sempre stato un po’ scettico sull’abbinamento sigaro/distillato, perché per cogliere al meglio le note di degustazione del liquido si dovrebbe avere il palato sgombro perfino dal cibo e dal caffè, figuriamoci dal fumo. Impostazione da bacchettone ortodosso. Se invece si viaggia in modalità “gaudente epicureo”, allora va tutto bene, le suggestioni si mischiano e si arricchiscono e l’esperienza si fa interessante. Basta non recensire i distillati dopo, ecco…
Ma non è questo il caso. Qui siamo stati per assistere al “colloquio” fra Dictador e Oliva.
Il primo è un rum storico, nato dall’iniziativa di don Julio Arango y Parra, asturiano emigrato a Cartagena, che in assenza di mele da sidro decise nel 1913 di dedicarsi alla canna da zucchero. Creò la Destileria Colombiana, pian piano ebbe sempre più successo e nel 1993 vendette al colosso oggi noto come Diageo. Hernan, quarta generazione di Parra, nel 2003 ebbe l’idea di ripartire, e grazie a un partner polacco dal 2007-2008 ha lanciato il brand Dictador. “L’idea – spiega – è creare qualcosa che sia diverso dal solito universo dei rum, fatto di pirati e immagini di piantagioni di canna…”. Quindi bottiglie innovative, un discorso che unisce marketing e arte e – produttivamente parlando – un rum piuttosto unico. Si utilizza il succo di canna, che viene cotto e solidificato in mattoni (“panelas”), poi reidratato fino a 20 gradi Brix, fatto fermentare e distillato in un mix di alambicchi a colonna (70%) e pot still (30%). Tutto questo per ottenere “un rum che sia espressione di Cartagena e non respinga gli appassionati con sapori troppo divisivi”.
Anche Oliva ha alle spalle una storia lunga e appassionante. Famiglia cubana, nel business del tabacco dal XIX secolo, costretta ad emigrare quando il regime castrista requisisce fabbriche e fattorie. Vagano fra Spagna e Filippine, arrivano in Nicaragua in tempo per l’instaurazione di un’altra dittatura, quella sandinista. Nuove fughe, nuove peregrinazioni e infine il ritorno negli anni ’90 a coltivare tabacco in Nicaragua, grazie alle antiche sementi cubane. Prima si appoggiano agli stabilimenti di Plasencia, poi nel 1998 inizia la produzione di sigari propria, l’export e infine il successo, grazie all’incredibile stock di tabacco. Il boom arriva nel 2008, grazie alla Serie V, che si arricchisce del Melanio e che consente al brand di essere sempre nella top 10 dei migliori sigari al mondo, fino alla cessione al giovane Fred Vandermaliere. Il quale, a 35 anni, vince la concorrenza dei colossi chiedendo agli Oliva di rimanere a gestire la manifattura, che oggi produce 40 milioni di pezzi l’anno.
Bene, tutto bello, interessante. Ma il pairing com’era?
Intanto, si è fumato il Serie V No.4, un Petit corona di cepo 43″ che a noi – imbarazzanti neofiti – è sembrato essere un sigaro avvolgente di grande equilibrio: corposo (si dice “medium/full”, pare), ha un puff che dà grande godimento, senza prenderti a schiaffoni. Per noi ha dato il meglio in abbinamento con il Dictador Libreto vintage 2001, un 21 anni invecchiato in botti di rovere americano che ha amplificato le note di creme caramel e soprattutto di mandorla del sigaro; forse più spostato sui toni del caffè e del cioccolato il pairing con il vintage 2005, un 17 anni in ex sherry cask. Interessante poi l’abbinamento con il Game Changer, l’espressione NAS di Dictador creata in collaborazione con l’artista Richard Orlinski: il distillato più “agile”, cioè meno dominato dal barile, unito al tercio finale del sigaro ha stemperato le note più scure del tabacco con una certa vivacità fruttata di ananas, lasciandoci un sospetto: forse che l’abbinamento sigaro/distillato raggiunge una sorta di apice quando non entrano in conflitto sapori troppo intensi? Fuor di metafora: ci pare che il matrimonio funzioni meglio se il distillato è più morbido, non in senso di dolcezza ma di equilibrio. Sensazioni.



Passiamo alla seconda serata, che invece si è tenuta in zona Porta Romana a Casa Matthew, aka Dreamhouse, ovvero il nido di Dream/Matthew whisky. Protagonisti: ovviamente il padrone di casa Federico Mazzieri, che sta trasformando la sede in un salotto di incroci e incontri del mondo dei distillati, dei sigari, del food e dei profumi; poi Melissa Meerapfel, erede della dinastia di produttori di tabacco; infine l’importatore Lorenzo Venegoni e il mitico Giancarlo della Tabaccheria Dante, che questi (e molti altri) sigari li vende in corso Magenta.
La famiglia Meerapfel è uno storico produttore di tabacco di origine tedesca. E quando si dice storico, si intende orgogliosamente nel settore dal 1610. La storia e i commerci hanno poi portato gli antenati di Melissa in Indonesia, a Sumatra, da cui hanno importato le varietà locali. Sono stati i Meerapfel a rifornire i lussuosi marchi inglesi Davidoff e Dunhill, fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale e alla necessità di lasciare tutto. E di trasferirsi altrove per ricominciare ad importare tabacchi di qualità.
Il nonno di Melissa a un certo punto è finito anche a Cuba, dove ha guadagnato la fiducia dell’allora ministro dell’Agricoltura, tal Che Guevara. Il quale, pur di non fare affari con gli americani tanto odiati, gli ha venduto tutto il tabacco, tanto che un po’ di quel ben di dio è ancora custodito nei magazzini.
Qui, tra un highball e un Bobby burns con Scotch whisky degli anni ’70, fra grissini e un gelato al single malt, abbiamo fumato due sigari piuttosto diversi, agli antipodi dello stile Meerapfel.
Il primo è stato il Machetero short pyramid, un “puro” piuttosto eccezionale nel range, dato che i sigari con foglie tutte provenienti dallo stesso Paese non sono la specialità della casa. A noi che – giova ricordarlo – ne sappiamo di sigari quanto di epigrafia greca, questo “in between cigar” è parso esattamente quel che è: ovvero un medio corpo molto morbido, confortevole, ideale per una fumata casual. Intendiamoci, non che sia uno scherzo o una piuma eh. Il puff riempie bene la bocca, si spande ovunque una discreta speziatura che ricorda la segale. Piccantino, mai abrasivo, noi ci ritroviamo anche un senso di mandorla tostata e quasi castagna. Un “bundle” (così si chiamano gli entry level) di alto livello, che Meerapfel si può permettere di creare grazie a uno stock profondissimo di tabacchi.
Come detto, c’è stato tempo per un secondo e più profondo gioiellino. Se il Machetero è pensato per essere minimal, senza box né fascette come si faceva nel XIX secolo, con l’Estancia Ediciòn Exclusiva 50 si cambia sport. Un sigaro splendido, presentato in una scatola di velluto di grande eleganza. Il nome deriva dalla “estancia”, il cortile delle case coloniali cubane. La capa è fatta con foglie di tabacco del Nicaragua, la tripa (il ripieno) con un mix di tabacchi da Cuba, Repubblica Dominicana, Nicaragua e Honduras, dove i sigari vengono confezionati. Le scatole invece vengono realizzate in Belgio, dove Meerapfel ha il suo quartier generale. Un sigaro in cui perdersi, dove ritrovare il contatto con i propri pensieri al di là del logorio della vita moderna, come diceva la pubblicità del Cynar.
A costo di sembrare ridicoli nel descrivere le note, ci lanciamo: ci sentiamo del legno di cedro, o del sandalo; cresce un senso di fieno, una dolcezza di frutta essiccata (albicocche? datteri?) spunta qui e là, con un cioccolato fondente in crescita e un piacevole sentore terroso. E perdonateci se non riusciamo ad essere più precisi, ma al secondo sigaro, mentre Federico ci serve un bicchiere di Daftmill 2008 winter edition che aggiunge dolcezza cerealosa e fruttata all’esperienza, sappiamo solo godere in silenzio.